Il mostro di Dover

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    Alti non più di un metro, di aspetto decisamente inquietante, sono le strane, piccole presenze che si aggirano nel mondo degli uomini.

    La strada tra Boston e Dover scorre come un nastro; ai lati, giardini che diventano bosco e case, le imboccature di strade secondarie e qualche lampione. È una splendida serata per fare un giro in auto. Bill Bartlett non ha ancora smarrito il gusto di prendere la berlina di suo padre per quel tipo di "gita" senza meta: ha soltanto diciassette anni. Con lui ci sono due coetanei che, proprio come Bill, in quei momenti si sentono un po' più adulti.
    Bill comincia a parlare del più e del meno: della scuola e di ragazze, dei Boston Celtics e di progetti per quell'estate. L'autoradio gli fa da sottofondo. Lui ride, tiene d'occhio la strada, annusa l'aria primaverile che entra dal finestrino. I fari dell'auto illuminano l'asfalto, la striscia bianca che diventa un codice morse silenzioso e ripetitivo: linea, linea, linea...
    Mentre parla, Bill rallenta avvicinandosi a un incrocio e, distrattamente, si volta a guardare alla propria sinistra, dal finestrino aperto.
    In quell'istante i suoi pensieri si schiantano come un'auto lanciata contro un autoarticolato.
    Rallenta, sbarrando gli occhi. Una specie di gemito gli sfugge dalla gola.
    A qualche metro dal finestrino aperto c'è un muro di mattoni. E sul muro, appollaiata... una cosa.
    La prima impressione è quella di guardare un bambino nudo, col cranio deforme.
    L'istante si dilata. Bill fissa la creatura, ed è come se fosse da solo, come se non stesse guidando, come se la strada fosse improvvisamente scomparsa e l'auto galleggiasse nel nulla.
    La cosa non ha volto. E sembra ricambiare il suo sguardo con giganteschi occhi arancioni. È magra, ha braccia e "zampe" posteriori secche come rami, dita oscenamente lunghe e sottili.
    Bill fa una smorfia di terrore: l'istante dilatato si riconnette al tempo del resto del mondo intanto che la cosa esce dal suo campo visivo. L'auto continua a procedere per un centinaio di metri, e alla fine Bill preme a fondo il freno e inchioda. Si volta verso i suoi due amici. Non si sono accorti di nulla.
    Senza perdere tempo in spiegazioni, e senza nemmeno sapere cosa stia facendo, Bill ingrana la retromarcia e torna verso il muro di mattoni.
    Ma della creatura non c'è più traccia.

    L'incontro di Bill Bartlett con quello che successivamente venne definito il Demone di Dover è, in pochi anni, diventato un classico della criptozoologia. Lo sconvolto Bartlett (come notarono sia gli amici che, in un secondo momento, i genitori) preparò un identikit raffigurante una creatura macrocefala, priva di veri tratti somatici, con un corpicino macilento, pelle nuda, senza peli, di un colore tra il pesca e il bianco, e dita lunghissime.
    Ma può, un diciassettenne "in libera uscita" con gli amici essere considerato un testimone attendibile?
    Certo quello di Bill non fu l'unico avvistamento del Dover Demon.

    22 aprile 1977, Dover, Massachusetts. Ore 0:30.
    Il quindicenne John Baxter ha da poco salutato la propria "fidanzatina" e sta tornando a casa. Cammina per le strade vuote e silenziose, con la mente che divaga. Pensa a lei, e non può fare a meno di sorridere tra sé. Quasi saltella, più che camminare, come farebbe ogni quindicenne straripante di ormoni in una notte di primavera.
    Anche lui, come il suo quasi coetaneo Bill, si volta casualmente a guardare alla propria sinistra. C'è un pendio che termina in un burrone poco profondo. C'è qualche albero, e un prato fitto. E c'è qualcuno che, nella penombra, sta camminando velocemente verso di lui.
    John aggrotta le sopracciglia, ma è troppo felice, troppo straripante di ormoni, troppo svagato per pensare che quel qualcuno potrebbe essere un malintenzionato. Quindi smette quasi subito di aggrottare le sopracciglia e anzi solleva una mano e saluta. Saluta perché quel qualcuno che si sta avvicinando così in fretta non può che essere un suo amico.
    Poi l'amico arriva sino al cono di luce giallastra di uno dei lampioni.
    E John avverte un brivido alla schiena, di quelli che si provano quando si ha la febbre alta. Un brivido che gli azzanna la nuca, gli fa agghiacciare il sangue nelle vene.
    La cosa cammina alternando un postura eretta a una a quattro zampe. È piccola, magra, con lunghe braccia, e ha occhi arancioni, senza palpebre, grandi e luccicanti. Come se fosse infastidita dalla luce, si ferma di colpo, quindi fa dietrofront, tornando verso il burrone.
    Quasi che le fosse rimasto "agganciato" con lo sguardo, John muove qualche passo verso di lei, attraversa la strada, si avvicina al prato. Nota altri particolari della cosa. Ha le gambe posteriori più corte, storte, con dita lunghissime che sembrano modellarsi sulle pietre, avvolgendole completamente; le stesse dita sembrano attorcigliarsi intorno alla corteccia di un albero, mentre l'esserino, alto non più di un metro, vi si regge come farebbe una scimmia.
    La cosa si muove in fretta e scompare nel burrone. E dopo qualche altro secondo di sbigottimento, John torna in sé: fugge a rotta di collo verso casa, senza mai guardare indietro, del tutto terrorizzato.

    La studiosa di fenomeni misteriosi Loren Coleman, che all'epoca dei fatti viveva proprio nell'area di Dover, e per prima compì una serie di indagini "sul campo" dando alla creatura il nome con cui è diventata celebre, notò che Bill Bartlett e John Baxter non si conoscevano. Baxter però era in contatto con Will Taintnor, un diciottenne della zona. Il giorno dopo l'avvistamento, John raccontò a Will della misteriosa creatura e l'amico gli disse che, a sua volta, quella stessa sera aveva visto la medesima creatura mentre si trovava in auto con la sua ragazza di quindici anni, Abby Brabham. Anche lei l'aveva osservata distintamente: e la descrizione di Bill si adattava perfettamente a quanto visto anche da Will Taintnor e dalla sua girlfriend.

    È lecito pensare a uno scherzo. A una burla organizzata da adolescenti di periferia, forse annoiati dalle loro prime gite in auto e dalle loro fidanzatine. Una burla, magari, che prende spunto dal tanto parlare che si faceva all'epoca di piccoli alieni macrocefali con dita molto lunghe (il 1977 non è forse lo stesso anno in cui uscì Incontri Ravvicinati del Terzo Tipo di Steven Spielberg, dove si vedono appunto creature molto simili a quello che la criptozoologa Loren Coleman chiamò Demone di Dover?). È naturalmente lecito liquidare tutta la faccenda in questo modo.
    Altresì qualcuno non può fare a meno di domandarsi cosa si stesse muovendo, a Dover, la notte tra il 21 e il 22 aprile. E non può fare a meno di domandarselo perché le casistica di "avvistamenti" di omini (verdi o no) è talmente ricca, e trasversale rispetto alla più rigorosa criptozoologia, all'ufologia e allo spiritismo, da dare le vertigini. Impossibile ignorarla.
    Gli "omini" vengono osservati praticamente da sempre e in tutto il mondo. Senza perdere troppo tempo con la teoria, basti dire che in moltissimi sostengono che i "racconti di fate" e le credenze sul piccolo popolo abbiano una radice comune coi moderni avvistamenti di alieni. Viene da più parti fatto notare come le spiegazioni ufologiche siano addirittura fuorvianti: gli "omini" sarebbero tutto tranne che alieni provenienti da altre galassie su navi spaziali. Piuttosto farebbero parte di una "realtà altra" che, talvolta, si sovrappone alla nostra.
    Certo va notata una cosa: la fantascienza (X-Files come i film di Spielberg...) ha contribuito a fissare l'aspetto di queste inquietanti presenze, almeno nell'immaginario comune, nella forma tipica del "grigio", vale a dire una specie di hobbit calvo e senza peli, con occhi a mandorla e pelle glabra. In realtà gli omini osservati sono straordinariamente vari e, cosa anche peggiore per chi tenta di avvicinarsi all'argomento con cipiglio razional-illuminista, talvolta le descrizioni che ne vengono date scivolano nell'assurdo totale.

    Farmersville, Texas, maggio 1913.
    Tre ragazzi stanno raccogliendo cotone, sudando sotto il sole. Sono stanchi, hanno sete e fame, e poca voglia di scherzare.
    Quindi, quando cominciano a sentire abbaiare i cani della fattoria poco distante dal campo di cotone, si innervosiscono. I cani sono ben addestrati, e non abbaiano mai per niente. Uomo o animale che sia, qualcuno ha deciso di venire a scocciarli. E ha scelto davvero un momento poco opportuno.
    I ragazzi interrompono il lavoro e raggiungono i cani. Questi abbaiano sempre di più, sembrano ipereccitati, e puntano, ringhiando, qualcuno che si sta avvicinando alla fattoria.
    Qualcuno o qualcosa.
    I tre ragazzi rimangono senza parole. Si tratta di una persona alta quarantacinque centimetri, completamente nuda, con la pelle verde e gommosa. Il volto ha qualcosa di mostruoso. E, cosa se possibile ancora più pazzesca, indossa un cappello di foggia messicana.
    I cani sembrano impazzire di rabbia e terrore. Scattano velocissimi verso l'omino verdastro.
    Nel giro di pochi istanti, prima che i ragazzi possano anche solo provare a intervenire, i cani furiosi lo addentano, e lacerano e strappano sino a farlo letteralmente a pezzi. Poi, una volta che l'essere giace a brandelli sul terreno, battono in ritirata uggiolando.
    I ragazzi si avvicinano ai poveri resti della creatura, sparsi nel raggio di quasi due metri. Uno di loro si fa il segno della croce. Notano che gli organi somigliano a quelli umani, e il sangue è violaceo. Terrorizzati, anche loro tornano sui propri passi e lasciano il cadavere massacrato a marcire sotto il sole.
    Un silenzio irreale sembra gravare dal cielo texano. Non si muove un filo d'erba.
    I cani, adesso, se ne stanno rintanati, piagnucolando, e non c'è verso di farli uscire dalle loro cucce. A nulla serve mettergli al collo una catena e tirare. Rifiutano persino il cibo.
    I ragazzi non sono meno sconvolti. E quella notte non chiudono occhio, continuando a domandarsi cosa diavolo abbiano ucciso i cani. Decidono, quasi per riparare alla morte del piccolo visitatore mostruoso, di seppellirlo la mattina successiva.
    Ma il giorno dopo, tornati nel punto in cui dovrebbero esserci i resti della creaturina, non trovano assolutamente nulla.
    Nemmeno una goccia di sangue.

    Questo genere di "scomparsa" è un'altra caratteristica tipica degli omini. Ricordate il Diavolo del Jersey di cui abbiamo parlato la settimana scorsa? E ricordate cosa successe quando l'eroe americano Stephen Decatur gli sparò contro una palla di cannone? Il colpo attraversò la creatura volante come se si trattasse di un'immagine olografica.
    Qualcosa del genere accade spesso anche con molte altre creature misteriose, contribuendo a rafforzare due distinte correnti di pensiero: quella degli scettici, che sostengono siano soltanto allucinazioni, e quella di chi li intende come visitatori proveniente da un'altra dimensione, non del tutto "connessa" alla nostra, e pertanto sempre vagamente immateriale.

    Paranà, Argentina, dicembre 1986.
    Tre ragazzi di otto, dieci e undici anni stanno giocando a pallone accanto a un fiume. Presi dal loro agonismo, non si accorgono immediatamente di essere osservati.
    Dall'altra parte del fiume c'è infatti un gruppo di omini dall'aspetto orribile. Altri circa un metro, coperti di peli, con artigli ungulati e corna che fuoriescono dalla testa mostruosa. Sembrano levitare e, muovendosi a circa dieci centimetri dal terreno prima e dall'acqua poi, si avvicinano ai ragazzi.
    Questi, urlando di terrore, scappano a gambe levate. Ma il più piccolo cade e rimane tramortito un istante. Il terrore degli altri due è tale che la loro fuga continua. E il bambino di otto anni rimane da solo a fronteggiare gli orrendi esseri cornuti.
    Uno, che regge nella mano-artiglio una specie di lancia o coltello, e grugnisce orrendamente, si fa avanti. Il bambino si volta, scuote il capo, poi comincia ad arrancare sui gomiti, gli occhi sbarrati, la bocca spalancata ma muta. Istintivamente afferra un sasso, e lo scaglia contro la creatura.
    Il sasso la attraversa come se si trattasse di un'immagine proiettata nell'aria. A quel punto la creatura si ferma. E, un istante dopo, il bambino è solo.
    Gli orrendi gnomi sono svaniti nel nulla nel tempo di un battito di ciglia.

    I testimoni di questi avvenimenti spesso sono bambini. E i bambini vengono considerati meno attendibili persino di alcolizzati e mitomani. Quindi è facile, ancora una volta, liquidare il tutto con un sorriso e una scrollata di spalle.
    Fantasia, e null'altro.
    Ma questa è solo la nostra prima parte di "viaggio nel mondo degli omini". La prossima settimana parleremo di tre incontri ravvicinati avvenuti nel nostro paese (di cui uno molto recente, purtroppo per i testimoni, addirittura mortale). E poi procederemo oltre... verso creature lovecraftiane, sia di fantasia che "realmente" osservate, e ancora più in là, verso i più mostruosi abitatori dei mari.

    Bibliografia e fonti:
    Philip L. Rife, America's Nightmare Monsters, Lincoln, NE, 2001.
    Janet Bord, Fate, Milano, 1999.
    John A. Keel, Creature dall'Ignoto, Roma, 1978.
    www.parascope.com
    www.subversiveelemnt.com


    Edited by Nevestella - 8/1/2010, 20:32
     
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  2. Play87
     
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    Ma non è Moggi quello? -.-''

     
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    i have no idea what i'm doing

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    Ecco il nostro uomo

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  4. Francoman
     
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    mi ricorda un alieno....
     
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    Uppo il topic sul mostro di Dover, postando un mio disegno ispirato allo schizzo fatto dai suoi primi avvistatori.

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    Per vederlo meglio clicca QUI, e se sei iscritto a DeviantArt lasciami un commento ;) .
     
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4 replies since 13/6/2005, 11:46   1350 views
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